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L’epoca dei rabbiosi
Non è una sorpresa per nessuno il progressivo diffondersi, non solo fra i bambini e gli adolescenti, ma anche fra persone adulte e mature, di modalità verbali aggressive e violente all’interno delle varie relazioni e dei rapporti fra le persone.
L’abitudine ad una comunicazione che ricorrere sempre più spesso ad urla, toni alti e termini brutali si è insinuata nel quotidiano al punto da non risparmiare quasi nessun ambiente sociale come ad es: all’interno della famiglia; nella coppia; nella vita lavorativa; nei luoghi del tempo libero etc..
Si tratta di un fenomeno di tendenza di massa ad intrattenere rapporti violenti e, anche se in questo caso consideriamo una violenza di tipo verbale, non possiamo ignorare il rischio continuo del passaggio dalle parole ai fatti di fronte ai quali peraltro si nota una impressionante disinvoltura generale.
E’ superfluo in questa sede elencare la miriade di comportamenti violenti sia verbali che fisici dei quali apprendiamo il manifestarsi ogni giorno quali: violenze nella scuola(fra compagni,fra colleghi, fra insegnanti ed alunni); violenze in famiglia (fra i coniugi, tra fratelli, fra genitori e figli); sul posto di lavoro (fra colleghi, fra erogatori di servizi ed utenti) e nei luoghi pubblici di ogni tipo sottolineando che negli ultimi tempi si apprende di una ulteriore tendenza a formare gruppi al solo scopo di praticare violenza verso il prossimo.
Nel gergo quotidiano la modalità relazionale in questione è definita rabbiosità. La rabbia o atteggiamento aggressivo perpetuato innesca un automatismo mentale che lentamente lo promuove quale modalità comunicativa prevalente nella persona.
L’aggressività o rabbiosità è una risposta primitiva naturale del cervello, modalità che condividiamo con diversi animali, la quale si manifesta di fronte ad esperienze frustranti ovvero in quelle circostanze in cui la mente non riesce ad ottenere l’appagamento di un bisogno e non trova la soluzione. Nell’animale, privo di intelligenza superiore, è normale ricorrere all’attacco aggressivo in sede di frustrazione mentre l’uomo, data la sua presunta evoluzione, avrebbe dovuto ricorrere all’uso dell’intelligenza per risolvere i propri problemi, ma da quanto evince è lecito ritenere che probabilmente non si è poi così evoluto come si pensa.
Altro aspetto importante della comunicazione violenta è la caratteristica di “arma a doppia lama” nel senso che l’aggressività che si sprigiona non lede soltanto chi la subisce, ma anche chi la esercita. A livello psicologico, nel caso di comportamento violento, distinguiamo due componenti: una di tipo cognitivo sostenuta da una presunzione ossessiva basata sulla pretesa che (lui, lei, gli altri) non deve fare ciò che fa e siccome lo fa lo devo punire; l’altra di tipo emotivo (frustrazione) da cui si origina la carica aggressiva/punitiva del “colpevole” di turno.
Il rapporto violento ad ogni sua manifestazione rafforza nella mente (dell’aggredito e dell’aggressore) le convinzioni cognitive (disfunzionali) che lo sostengono contemporaneamente alla carica emotiva violenta chiamata in causa tanto da rendere nel tempo detti rapporti sempre più violenti e sempre più disfunzionali.
Dr.ssa Elisabetta Vellone