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Il cane che si morde la coda
Il cane che si morde la coda
non sa di starlo a fare
In un angolo della Capitale, ogni giorno, si aggira per le strade di una certa zona un giovane sotto ai trent’ anni. Passo lento, testa china come se guardasse la punta delle sue scarpe, mani in tasca e ritmo da carovana, procede, sembra sempre sovrappensiero. Piove, c’è il sole o tira vento puntualmente quel giovane è lì. Non si guarda intorno, non scambia parola con alcuno. ... Il quotidiano circuito di rito è rappresentato dal il bar, dal giornalaio, il supermercato, la farmacia. Il ragazzo in questione si è trasferito in questa zona, con la sua famiglia di origini Campane, quando aveva l’età di due anni. Era alunno della scuola elementare quando a nove rimase orfano di padre; a dieci anni alla sua mamma venne fatta una diagnosi di sclerosi malattia che la costringe a lasciare l’impiego che svolge come segretaria di azienda. Il giovane, sostenuto e guidato dalla mamma completa gli studi diplomandosi con onore. All’età di diciannove anni si scrive all’università facoltà di ingegneria; a ventisei anni consegue il titolo di ingegnere meccanico. E’sempre molto presente con la mamma per quanto riguarda le esigenze di una donna con tale patologia, l’ accompagna alle visite, si prende cura di lei, a volte cucina e stira le sue camice. Essendo la pensione di lei l’unica entrata del nucleo familiare, non si possono permettere un aiuto in casa, ma l’ingegnere deve pensare anche al suo futuro. Prepara un curriculum ed inizia ad inviare domande a tutte le aziende possibili immaginabili nel frattempo, in attesa di una collocazione lavorativa, impartisce lezioni di matematica e fisica a qualche ragazzino che lo richiede. A distanza di circa un anno dalla laurea nulla accade in tema di lavoro e lentamente il giovane accenna ad un cambiamento, riduce i rapporti sociali, chiude una relazione affettiva con una ex compagna di liceo, è sempre molto accudente verso sua madre la quale nel frattempo si è aggravata e non esce quasi più di casa. Il cambiamento del ragazzo si manifesta sempre più marcatamente dando luogo ad un ritiro progressivo dall’ambiente circostante. La moltissima gente del luogo che lo conosce mormora e commenta; alcuni dicono: si è depresso perché non ha trovato lavoro; altri: non ha trovato lavoro perché è depresso. La storia di questo giovane ingegnere è solo una delle tante denunce mute di un sistema sociale distratto e malato di protagonismo che frastornato dai tanti rumori di superfice non percepisce più il suono della voce umana; l’etichettamento di depresso risolve ogni problema: non è colpa di nessuno! E intanto il giovane ingegnere disoccupato è lì imbrigliato nel suo circolo vizioso: è depresso perché non ha trovato lavoro e non può trovarne perché è depresso. Proprio come il cane che insegue la sua coda e non saprà mai che non è raggiungibile.
Dott.ssa Elisabetta Vellone